Non volevo morire vergine

SINOSSI

La vita di Barbara è cambiata all’improvviso a poco più di quindici anni, quando per un tuffo in acqua troppo bassa è rimasta tetraplegica. Quindici anni è l’età delle prime cotte, delle prime schermaglie, dei batticuori. E del sesso. Di tutte le perdite che l’incidente ha portato con sé, la più insopportabile è proprio il pensiero di restare vergine per sempre. Vergine non solo nel corpo, ma di esperienze, di vita, di sbagli, di successi, di fallimenti, di viaggi, di sole. Armata di coraggio, ironia e molta curiosità, Barbara affronterà tutte le rivoluzioni imposte dalla nuova condizione, fino a ritrovare se stessa in un corpo nuovo. In una girandola di situazioni tragicomiche e di ragazzi e uomini impacciati, generosi, a volte teneri, a volte crudeli, Barbara compie la sua iniziazione al sesso e all’amore. Con gli stessi slanci, le delusioni, gli entusiasmi che tutte le donne, anche quelle con le gambe, conoscono molto bene.

Non volevo morire vergine,  Barbara Garlaschelli

 

 

RECENSIONE a cura di Miriam Salladini

Barbara Garlaschelli con questo libro autobiografico racconta la sua storia partendo da quel drammatico 3 agosto 1981 quando per un tuffo in acqua bassa sbatte la testa contro un sasso diventando tetraplegica. È il giorno in cui termina una vita e ne inizia un’altra, per nulla semplice, poiché da allora non sarà più autosufficiente e si ritroverà protagonista di un calvario che la porterà raggiungere una nuova consapevolezza di se stessa. 
“Non volevo morire vergine” non deve indurre il lettore a pensare a una sola verginità fisica in quanto l’autrice consegna al lettore un’immagine di questo termine a trecentosessanta gradi: la sua paura più grande è quella di restare vergine di esperienze di vita, di sbagli, di successi e fallimenti. Barbara è una donna coraggiosa che non ha mai perso le speranze di riappropriarsi della sua vita perché se è vero che ha sempre saputo di non poter più camminare, correre e saltare, ha sempre riconosciuto se stessa come una persona con diritti e doveri. All’inizio è stata la scrittura il suo rifugio, poi due splendidi genitori che l’hanno sempre incoraggiata e successivamente Giampaolo, l’uomo della sua vita.
Nella sua analisi la scrittrice descrive le paure e le speranze, consegnandoci un’immagine non molto felice della condizione del “disabile” in Italia: un paese ricco di barriere architettoniche che ha ancora molto da fare per rendere dignitosa la vita delle persone affette da grave disabilità. Inoltre in tutta questa minuziosa analisi come sarebbero potuti mancare chiari riferimenti alla figura dell’assistente sessuale? Nel 1981 questa figura era impensabile poi pian piano è riuscita ad affermarsi in molti paesi ma in Italia no. Barbara si confida, sfogandosi e sottolineando come anche un disabile abbia impulsi e desideri sessuali che devono essere soddisfatti. Tale condizione però si scontra con quella dell’immaginario collettivo che vede la persona affetta da grave disabilità quasi come un adulto asessuato da accudire e proteggere. “Non volevo morire vergine” è un libro scorrevole, doloroso ma anche ironico. Il dolore è percepibile in ogni singola parola ma è raccontato in modo dignitoso e per questo non suscita mai compatimento.
Un libro bellissimo a cui continuo a pensare poiché la storia di Barbara e anche la storia di tante altre donne alle prese con la scoperta della loro bellezza, del loro fascino e della loro sensualità in un paese ostico. Un inno alla vita e al coraggio che ha come protagonista una donna che è stata capace di rimettersi in discussione riscoprendosi “femmina”.

 

Laureata in Lettere Moderne all’Università Statale di Milano, ha esordito nella scrittura nel 1993 con l’antologia in floppy disk Storie di bambini, donne e assassini, Del 1995 è il suo esordio a stampa, con O ridere o morire, edito da Marcos y Marcos.

Scrittrice versatile, si è cimentata in vari generi: dal noir, alla letteratura per ragazzi (quest’ultima edita da EL, di cui ha diretto la collana “I corti”; con Walt Disney in collaborazione con Nicoletta Vallorani) al teatro. Costretta fin dall’età di 16 anni su una sedia a rotelle a causa della rottura di una vertebra per un tuffo in acque troppo basse, ha descritto con stile asciutto il suo percorso di vita nei dieci mesi successivi, in Sirena, Moby Dick, Faenza 2001. Il libro è considerato un long seller e ha avuto varie ristampe: nel 2004 con Salani, nel 2007 con TEA e nel 2014 con Laurana Editore.

Nel dicembre 2004 ha vinto il Premio Scerbanenco con Sorelle, ex aequo con Trilogia della città di M. di Piero Colaprico.

Pubblicato da Miriam Salladini

Ciao a tutti! Mi chiamo Miriam Salladini e nella vita sono un'insegnante di sostegno di scuola primaria, specializzanda in pedagogia clinica. Amo molto la lettura e l'arte. Leggo anche quattro libri insieme, alternandoli e quando vedo una libreria sono capace di starci dentro ore. Sono una persona creativa, mi piace inventare e creare cose nuove. Collaboro con alcuni blog tra cui "gialloecucina".

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.