Quella metà di noi di Paola Cereda

Quella metà di noi di Paola Cereda

Quella metà di noi di Paola Cereda, edito da Giulio Perrone, è tra i dodici finalisti al Premio Strega 2019.

Parlare di questo libro non è impresa facile, perché difficile risulta definirlo, raccontarlo, contenerlo. Innanzitutto non si sa da dove cominciare. Perché, se è vero che c’è una protagonista femminile, Matilde, è vero pure che i piani della narrazione sono molteplici, tutti strettamente correlati tra loro e ciascuno con protagonisti altri, che interagiscono in maniera essenziale e non secondaria, ponendosi rispetto allo sviluppo della vicenda come figure assolutamente non di secondo piano.

Se devo fare un paragone, mi viene in mente che leggere questo romanzo è come lanciare un sasso in uno stagno e rimanere lì ad assistere alla formazione di cerchi concentrici.

Perché Matilde, la protagonista, che è una donna di 65 anni, è stata ed è molte cose: una moglie, vedova ormai da molti anni, una madre di una figlia anaffettiva e distante, un’insegnante ora in pensione, una badante per necessità.

Allora hai deciso? Passo da te o mi fai subito un bonifico? Mi stai ascoltando? Ti dicevo che mi servono quei soldi. Sono solo settantamila. Euro! Se non vuoi sbloccare i tuoi investimenti, puoi vendere l’alloggio. Significa che non venderai? E’ un no? Il tuo è un no? Non puoi aiutarmi? Non vuoi?

Tu esisti per soddisfare i miei bisogni, per vivere una vita secondaria, E’ a questo che servono le madri.

E aveva riattaccato.

Questo l’incipit del romanzo e il primo cerchio formatosi nello stagno a partire dalla protagonista.

Il violento dialogo telefonico, quasi un monologo, su cui si apre il romanzo, ci disvela subito un rapporto complesso con la figlia, andata via di casa a 19 anni per scelta e mai più tornata nel quartiere in cui è nata e nel quale sua madre abita ancora. Questa figlia è abitata, invece, dal desiderio di prendere le distanze dal suo passato e dalle sue origini e dal desiderio di salire nella scala sociale, obiettivo che realizza attraverso il matrimonio, che la promuove di ceto, di quartiere e di frequentazioni.

Come stai, mamma? Di solito la figlia si dimenticava di chiederglielo.

Adesso era sposata e abitava in precollina…dove Matilde non andava neppure per le feste comandate, per non portare le espressioni, le abitudini, le tende di cotone, la cerata con i pompelmi e i mobili comprati a rate da Aiazzone.

ll secondo cerchio è Barriera, il quartiere in cui vive Matilde; una zona a nord est della città, oltre le antiche cinte daziarie, che fino a fine 800 regolava il transito di merci e persone in movimento verso Torino.

Qui è la casa di Matilde, quarto piano senza ascensore, tre camere e cucina, soggiorno e due bagni.

Barriera è una parola che condiziona le esistenze. Ci sono barriere che dividono e altre che difendono, esistono barriere che rassicurano e altre che decidono chi sta dentro e chi sta fuori, che cosa è simile e cosa, invece, è differente.

A furia di essere pensati per secondi, gli abitanti del quartiere finiscono col credere di valere un po’ di meno.

Barriera, colonizzata agli inizi dai pugliesi emigrati in blocco per lavorare in fabbrica, ha cambiato fisionomia: accoglie oggi un miscuglio di razze, un impasto di lingue e spezie con qualche grumo non facile da amalgamare, ma rimane sempre un crogiuolo di vite da ultimi. Perciò sua figlia è scappata, Matilde no, lei è rimasta e assiste dal suo balcone di un metro e trenta allo spettacolo che ringhiere e balconi altrui  offrono gratuitamente. Ogni giorno a Barriera vanno in scena, infatti, esistenze con un cuore pulsante nel bene e nel male, si snodano vite che si raccontano, che chiedono di essere guardate, ascoltate, soccorse. Un palcoscenico continuo, un caleidoscopio di umanità vera.

Il terzo cerchio è la famiglia Dutti, quella in cui Matilde trova lavoro come badante dell’ingegnere; una bella casa in centro, abitata da un’umanità dolente, ciascuna a proprio titolo, chiusa, suo malgrado, in un circolo vizioso, fatto di doveri e vincoli, dei quali non ci si è potuti liberare o non si è voluto farlo.

I protagonisti sono l’ingegnere colpito da ictus, sua moglie e Dora, la domestica straniera. Anche qui dinamiche personali e interazioni reciproche sono scandagliate a fondo con un acume e una profondità di sguardo che non lascia nessuno in secondo piano. Tutti partecipano alla vicenda in qualità di protagonisti con il pezzo di vita che hanno da raccontare, fatto di incontri fortuiti, scelte sbagliate, desideri d’altrove, nostalgie, rimpianti, rancori e recriminazioni, che, nonostante tutto, fanno da cemento a uno stare insieme malato, ma ineludibile.

Quarto e ultimo cerchio, il segreto. Quello di cui non sapremo nulla fino alla fine, ma che aleggia sin dal principio tra le pagine del libro, quello che porta Matilde a fare la badante in casa Dutti, quello che le impedisce di dare i soldi che la figlia reclama.

Lei ci aveva provato a dirlo alla figlia, a confessarle il suo segreto, ma ogni volta le era rimasto in punta di lingua. In fondo quello era il suo segreto, quello che custodiva lo scarto tra quel che doveva essere Matilde a quel dato punto della vita e quel che lei davvero era stata. Solo suo, dunque.

Si chiese se ci fossero parole adatte a descrivere quella metà di noi che non viene raccontata e che continua a esistere nonostante l’imbarazzo.

A proposito dei settantamila euro, devo dirti che. Colgo l’occasione per. Ho giusto una cosina in punta di lingua. Mi sono dimenticata di avvisarti.

Un segreto è una verità omessa, un pezzo di intimità preservata, una decisione da esporre in caso di pericolo personale.

Questi, i cerchi originatisi dal lancio del sassolino nello stagno, ma almeno altrettanti i protagonisti e i temi affrontati.

Ci sono Matilde e le sue relazioni, passate e presenti, c’è la città di Torino, protagonista anch’essa, con il suo centro e le sue periferie, la sua fisionomia che cambia con il tempo in ragione della varia umanità che la abita, i segreti di ciascuno, perché ciascuno ne ha, le illusioni, le occasioni perdute, sprecate, le parole non dette, le esistenze a metà.

Un romanzo denso e ricco, di cui ami sin dall’inizio i personaggi, ritratti con abilità tale che li vedi saltar fuori dalla pagina e muoversi di vita vera; un romanzo lucido sul nostro tempo, sui mutati bisogni dell’umanità, sulla capacità di inventarsi e reinventarsi ogni giorno per poter stare al mondo.

Una scrittura fluida e diretta quella di Paola Cereda, tagliente, icastica, apparentemente semplice, perché asciutta, ma di quella semplicità che solo le cose ben riuscite possono permettersi.

Un romanzo, insomma, da leggere assolutamente.

Donatella Schisa

L’intervista all’autrice Link sottostante

https://www.ilmondoincantatodeilibri.it/donatella-schisa-intervista-paola-cereda/

Titolo : Quella metà di noi

Autore : Paola Cereda

Editore : Giulio Perrone editore

Collana : Hinc

EAN: 9788860044891

Prezzo : € 15

Se chiedi al vento di restare

Psicologa, è nata in Brianza ed è appassionata di teatro. Dopo un lungo periodo come assistente alla regia in ambito professionistico, è andata in giro per il mondo fino ad approdare in Argentina, dove si è avvicinata al teatro comunitario. 
Tornata in Italia, vive a Torino e si occupa di progetti artistici e culturali nel sociale. Vincitrice di numerosi concorsi letterari, è stata finalista al Premio Calvino 2009 con il romanzo Della vita di Alfredo (Bellavite).
Piemme nel 2014 pubblica Se chiedi al vento di restare.

La descrizione del libro

Alle volte ci si ritrova nel mezzo: di due case, di più lingue. Nel mezzo di più vite, di decisioni ancora da prendere, di bisogni contrastanti. È qui che sta Matilde, maestra in pensione che si reinventa badante, alle prese con una parte di se stessa che credeva di non dover mai affrontare. I segreti sono spazi di intimità da preservare, nascondigli per azioni incoerenti, fughe, ma anche regali senza mittente per le persone che amiamo. Ma cosa resta di autentico nei rapporti quando si omette una parte di sé? Dove si sposta il confine tra sentimento e calcolo? Matilde lo scoprirà nel confronto con sua figlia, con l’ingegnere di cui si prende cura, con gli spaccati di vite sempre in bilico del quartiere di periferia in cui vive: ogni rapporto ci trasforma, in una dimensione di reciprocità che, attraverso l’altro, ci permette di valutare quanto, alla fine, siamo disposti a cedere di quella metà di noi. Dando voce a una coralità di personaggi, Paola Cereda racconta una società frammentata che cambia e fa emergere nuovi bisogni e nuove prospettive, in cui pare necessario inventarsi una nuova modalità per far quadrare i conti con noi stessi e con gli altri. Con una scrittura asciutta e chirurgica, che pure inaugura spazi di autentica poesia, tesse una storia universale, la storia di una donna in grado di restare in piedi quando crolla anche l’ultima illusione.

Pubblicato da Donatella Schisa

Donatella è nata e vive a Napoli. Dopo gli studi classici, si laurea in Giurisprudenza coltivando parallelamente la sua passione per la scrittura. E' autrice di numerosi racconti pubblicati in diverse antologie; e si è classificata seconda alla XXV edizione del Premio Nazionale Megarls per la narrativa. il suo primo romanzo è " Il posto giusto"

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