Maledetti di Franco Nicolino

Maledetti

Francesco Nicolino
Pianosangro, Aspromonte, primi anni ’50. Don Mico, a capo di una potente famiglia criminale, tiene a battesimo Michele, giovane contadino che nell’affiliazione all’onorata società intravede la via del proprio riscatto. La Seconda Guerra Mondiale ha accresciuto l’antica miseria, nella quale attecchiscono i germi della ribellione: due giovani, tra cui Luca, fratello di Michele, lottano per difendere i contadini dalle angherie dei latifondisti. Le lotte contadine, per il popolo, sono l’occasione per affrancarsi dallo status di coloni e per ridare un ruolo sociale agli emarginati e ai reduci di guerra. Al romanzo fanno da sfondo alcuni avvenimenti che caratterizzano la storia della Calabria del secondo dopoguerra (le rivolte contadine, l’alluvione del 1951, la seconda grande ondata migratoria per le Americhe), periodo in cui l’onorata comincia a trasformarsi in un’organizzazione criminale moderna, che realizzerà grandi opere pubbliche e condizionerà la struttura democratica delle istituzioni locali. Le vicende narrate hanno radici negli anni dell’Unità d’Italia, “il grande imbroglio” dal quale sono scaturiti il brigantaggio e la riaffermazione della classe latifondista, che si ricicla nelle nuove forme di potere del sistema democratico e repubblicano del Paese. Protagonista del romanzo è Nina, moglie di Michele. Silenziosa e sottomessa, la donna, a conoscenza degli affari criminali della ’ndrina di Pianosangro e degli efferati delitti del marito, matura lentamente il rimorso e trova la forza di ribellarsi, scardinando un’intera “famiglia” criminale. Reietta da tutti, si chiude nel suo dolore, mentre il suo nome diviene sinonimo di scandalo e disonore agli occhi di un mondo che non riesce e che, forse, non vuole cambiare.
Francesco Nicolino, calabrese, si è laureato all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Insegnante di Storia e Filosofia, attualmente vive a Bologna. Ha esordito nella narrativa con Gli angeli non sono tutti bianchi (Carabba, 2015; Modu Modu, 2017), opera che ha superato le diecimila copie vendute e ottenuto diversi riconoscimenti. Maledetti è il suo secondo romanzo.

Introduzione

Non appena si finisce di leggere questo romanzo di Francesco Nicolino, viene da interrogarsi sul “perché è stato”, “cosa è stato” e “cosa è”. Il riferimento è all’onorata società calabrese, la ‘ndrangheta, i cui componenti non chiamano così, come non viene mai pronunciato il nome mafia.

Recensione

Questo romanzo, tuttavia, non è un saggio sulla ‘ndrangheta, Nicolino è voluto andare oltre a una semplice cronistoria di accadimenti, perché leggere una serie di cronache non informa veramente su cosa sia una società insidiata dal fenomeno mafioso. Quindi, per fa capire, per entrare nelle coscienze dei lettori, l’autore preferisce far parlare i vari personaggi, loro, i veri protagonisti di un mondo efferato di vendette e violenze, in un terra dove la terra stessa non deve dare frutti e consentire a gente buona e umile di vivere nella propria semplicità.
Così Nina si narra. Un io narrante inserito abilmente tra i capitoli, il filo conduttore del romanzo.
Nina è la moglie di un affiliato all’onorata società, Michele. È una delle tante donne di mafia, che nel loro silenzio soffrono e pregano, piangono, temono. Nell’onorata società non c’è posto per le donne, che devono essere fedeli custodi di segreti atroci. “Ho cominciato a vivere con un assassino: quando mi toccava e mi parlava sentivo la morte attaccarsi alla pelle, la respiravo in ogni istante e in ogni angolo” dice Nina. Lei non ha scelta, non ha avuto scelta. “Della mia felicità non importava a nessuno” dice ancora Nina. Lei è triste. Vorrebbe fuggire, non ama Michele e non è da lui amata: vive come fosse in una gabbia. Lo stesso paese, Pianosangro, è una gabbia, in cui tutti devono sottostare a Don Mico. Lui ha potere di vita e di morte, ogni decisione spetta a lui. Viene eletto sindaco: l’infiltrazione mafiosa anche nello Stato è compiuta.
Nicolino tratteggia abilmente i vari aspetti dell’onorata società mediante i suoi personaggi e le loro vicende, mediante soprattutto Nina. Perché è lei a soffrire anche verso quell’uomo con il quale ha una relazione clandestina, un vero amore, profondo, disinteressato e unico, che non potrà essere mai coronato da nulla. Quell’uomo è il fratello di Michele, Luca. Lui è il volto buono, colui che aborrisce l’onorata e si strugge a vedere la sua amata Nina costretta a soccombere a Michele. Un intreccio di sentimenti, di odio e disperazione.
Il sangue scorre a Pianosangro e i contadini vengono spodestati delle loro terre in virtù di contestabili e antiche leggi alle quali Don Mico si aggrappa per imporre il suo predominio. E in queste vicende Nicolino, magistralmente, fa capire quanto sia sanguinaria l’onorata società, che si espande sempre più come organizzazione criminale, come un cancro in quella terra “bellissima e maledetta”.
Bellissima, perché l’autore non dimentica di descrivere la sua terra nei luoghi e nelle persone. Descrive i declivi che si protendono verso il mare e la fatica di uomini con le mani rovinate che lavorano la terra dall’alba al tramonto, gente buona che sa solo lavorare.
Maledetta perché è c’è il predominio di gente con le mani sporche di sangue sete di vendetta, tra le case screpolate e le terre incolte che costringono a emigrare nelle Americhe.
In questo romanzo, Nicolino vuole fare capire, senza entrare nella retorica, cosa sia il fenomeno mafioso e che cosa significhi, affinché le coscienze non siano mai assopite. Inoltre fa un affresco di quel Sud del dopoguerra ancora imbrigliato in contese di terre e di potere, che non riesce a risollevarsi in quanto soffocato e sottomesso da mafie insidiose e crudeli.
Lo stile narrativo di Nicolino è fluido, ma in certi passi volutamente spigoloso, perché certe azioni non potrebbero essere descritte altrimenti. Evoca spesso lo stile dei romanzi di Pavese, ispirandosi a un neorealismo necessario in un romanzo con questo tema.
Uno stile particolare, quello di Nicolino, che avvince e coinvolge dalla prima all’ultima pagina.

Conclusioni

Maledetti è un romanzo che lascia qualcosa dentro e ha diritto a essere collocato al giusto posto nell’ambito della buona Narrativa contemporanea.

Recensione di Giovanni Margarone

Pubblicato da Giovanni Margarone

Sono Giovanni Margarone, sono nato nel 1965 e scrivo narrativa. I miei romanzi rientrano maggiormente in quelli di formazione, per via dell’evoluzione che fanno compiere (innanzitutto interiore e non solo) ai protagonisti (dall’infanzia all’età adulta, risalendo sovente alle origini, scavando nella storia del personaggio). Forte è la componente introspettiva e psicologica, per cui il personaggio resta sempre e comunque l’elemento centrale delle narrazioni, che potrebbero essere quindi ambientate in qualunque luogo. Sono un autore che vuole scrivere per gli altri, perché diversamente la mia sarebbe un’attività monca, fine a se stessa. Interpreto la scrittura come il mezzo più efficace per trasmettere sentimenti, emozioni e per indurre alla meditazione. Questa interpretazione trascendentale della scrittura mi è assai cara, perché ritengo che la spiritualità faccia parte di noi stessi e che lo spirito vada nutrito. Ho finora scritto e pubblicato quattro romanzi: “Note fragili” (2018, seconda edizione), “Le ombre delle verità svelate (2018, seconda edizione), “E ascoltai solo me stesso” (2019, seconda edizione) e “Quella notte senza luna” (2018). Inoltre, nel 2019 un mio racconto “Il segreto del casone” è stato inserito nell’antologia “Friulani per sempre” – con postfazione di Bruno Pizzul - edito da “Edizioni della sera”. Nel novembre 2019 sono stato insignito di una “Benemerenza” dal Comune di San Giovanni al Natisone (UD) (dove risiedo) per meriti letterari. Sono membro della Commissione Cultura del Comune di San Giovanni al Natisone (UD). I miei romanzi hanno ricevuto numerosi premi letterari. Il mio sito ufficiale è https://margaronegiovanni.com/

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