La lingua geniale o del Liceo Classico

La lingua geniale nove  ragioni per amare il greco o del Liceo classico.

La lettura de La lingua geniale, libro del 2016 scritto da Andrea Marcolongo e edito da Laterza, mi ha indotto a riflettere ancora una volta sulla vexata quaestio del liceo classico.

Ma, prima di addentrarmi nella questione, intendo spendere qualche parola su questo godibile testo che non è libro per addetti ai lavori, non per i grecisti, né per chi ha fatto il liceo classico, in quanto non si tratta di un manuale, né di una grammatica, anche se di certo la conoscenza del greco aiuta in taluni passaggi non proprio chiarissimi.

Andrea Marcolongo, che, ad onta del suo nome è una donna, ha tributato con la redazione di questo testo un atto d’amore nei confronti di questa lingua amata e temuta, la più lunga storia d’amore della sua vita, come lei stessa racconta.

Inutile dire che l’autrice ha frequentato il liceo classico e, come tutti gli studenti del liceo classico, si è imbattuta nel terrore delle versioni di greco. Per chi non avesse fatto questo tipo di studi va detto che le versioni di greco erano spesso in grado di generare confusione, che si mutava in disorientamento per poi sfociare nel panico. Sbagliare la traduzione di una sola parola significava sbagliare l’intera versione. Perché la scelta di un vocabolo in luogo di un altro era in grado di determinare errori a cascata. Una stesso lemma in greco può assumere una molteplicità di significati, riempire anche due pagine del dizionario con tutte le varianti possibili, e spesso una parola può significare tutto e il contrario di tutto. Per cui non è semplice riuscire a destreggiarsi con disinvoltura tra le pagine del vocabolario e individuare con certezza il significato giusto, tanto che può capitare di portare fino in fondo una versione parlando di fiori, mentre il testo originale parla di guerre, per fare un esempio.

Per Andrea Marcolongo le ragioni per amare il greco sono almeno nove e lei prova a raccontarcele. Innanzitutto l’autrice parte dalla premessa che, se da più di due millenni circola la voce che tutto ciò che di bello e insuperabile è stato detto o fatto al mondo l’hanno detto o fatto gli antichi Greci, una ragione dovrà pur esserci. E’ certo che ad Atene la cultura toccò le vette più alte mai raggiunte prima di allora dal genere umano. Fu lì che nacquero la filosofia e la retorica; fu sempre lì che il teatro, l’architettura e le arti plastiche raggiunsero la perfezione.

Tra le tante ragioni elencate, però, a me piace ricordarne due, l’ottativo e il duale.

Esiste in greco un modo del verbo a noi sconosciuto per esprimere il desiderio, l’ottativo, modo del desiderio appunto. Desiderio è parola che deriva dal latino, de e sidera. De è la proposizione che esprime la lontananza, sidera sono le stelle. Lontananza dalle stelle, dunque. Le si fissa con lo sguardo e se ne avverte la mancanza, come accade quando si pensa ad una cosa o ad una persona lontana, che non si possiede e che si brama perciò. La si desidera appunto. Tutto questo complesso e sfumato sentimento lo esprime in greco l’ottativo.

La seconda ragione riguarda il duale e riguarda perciò i numeri che in italiano sono due, singolare e plurale. In greco antico, invece, ne esiste un terzo, il duale, per esprimere il senso di duplicità, la relazione tra due cose o due persone, ma una relazione così intima da fare in modo che uno più uno non sia semplicemente un due, ma un uno formato da due cose. Due sono gli occhi, due le orecchie, due le mani, due i piedi, due possono esserlo i fratelli, le sorelle, gli amici, lo sono certamente gli amanti. Il senso di noi due è evidentemente diverso dal semplice noi. E’ più intenso, come sa bene chi ama o ha amato.

Il duale, che potrebbe apparire a prima vista superfluo, dice, dunque, qualcosa di più, di più sfumato e insieme di più forte; è il numero del patto, della scelta, dell’accordo, dell’intesa, della coppia, dell’alleanza e dell’esclusione, perché traccia un recinto tra chi è dentro e chi è fuori da quel due.

Certo oggi non c’è più traccia di ottativo né di duale nemmeno nel greco moderno, perché anche nella linguistica ha prevalso un principio di economia, in base al quale, in presenza di più forme con lo stesso senso prevale la più semplice. E’ così che le lingue oggi tendono alla banalizzazione e all’impoverimento.

Ma la banalizzazione, la semplificazione e il conseguente impoverimento hanno pervaso tutti i campi della società, insegnamento compreso, tanto che l’Italia risulta, secondo un’indagine dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico nel continente europeo, il secondo paese per analfabetismo funzionale; prima di lei solo la Turchia. Analfabetismo funzionale, che non significa non saper leggere, scrivere o far di conto, ma non essere in grado di elaborare e utilizzare le informazioni che leggiamo. Figuriamoci sistemi più complessi. Da qui scaturiscono gravissimi pericoli, dal momento che una percezione alterata della realtà, e cioè un divario tra la realtà oggettiva e la personale percezione della stessa, porta a compiere scelte in base alla seconda, cioè in base alla realtà percepita, con tutte le terribili conseguenze che possono scaturirne e che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

E allora mi è venuto da pensare ancora al liceo classico, che anche a questo imbarbarimento fa da barriera. Il liceo classico è ormai da tempo sotto accusa, ma sempre ad opera di chi non lo conosce per non averlo frequentato. Ma ciò che va ricordato a costoro è che lo studio delle parole del latino e del greco, articolato in un quinquennio, fornisce un’ampiezza di vocabolario, che non è fine a se stessa. Più parole si conoscono, più si è in grado di articolare il pensiero, di esprimerlo in forma anche complessa, se necessario, attraverso l’uso della paratassi e dell’ipotassi, e di conseguenza più si è in grado di incidere sulla realtà. L’impoverimento lessicale subito dalla nostra lingua porta necessariamente ad una deriva inarrestabile, come quella cui stiamo assistendo. L’incapacità di esprimersi è figlia di quella semplificazione e di quella banalizzazione di cui parlavo sopra a proposito della linguistica, ma che ha mietuto vittime in tutti i campi.

La corsa precipitosa alla monetizzazione del sapere sta facendo piazza pulita degli insegnamenti letterari. L’obiettivo è diventato formare le nuove professioni richieste dal mercato, non più formare le menti.

Ma il liceo classico rimane, come è stato detto da altri prima e meglio di me, l’esperimento di pedagogia più geniale e più fruttuoso mai messo in piedi da un governo occidentale. Per cui toccarlo è pura follia. Non si mette mano alle poche eccellenze del nostro paese.

Chi esce dal liceo classico conosce la Grecia e Roma e tutto quello che di raffinato e articolato queste civiltà hanno inventato e tramandato. E grazie a tale conoscenza sa parlare, sa scrivere, sa pensare, sa interpretare, sa mettere in rapporto, sa operare confronti. Chi afferma che non serva più mostra, pertanto, di non conoscerlo e parla in nome di un frainteso concetto di modernità, in base al quale si dovrebbe promuovere esclusivamente lo studio delle scienze. Una simile visione delle cose è erronea, laddove l’errore consiste nel ritenere che lo studio del latino e del greco non sia cosa scientifica, come la matematica, la fisica e la biologia. Lo studio delle lingue classiche è, invece, scienza esattamente come lo studio delle leggi della materia.

Scienza, indipendentemente dall’oggetto esaminato, è tutto ciò che richiede osservazione, comparazione, sistematizzazione, speculazione. E’ una questione di metodo. Non esiste differenza tra lo studio di un frammento di papiro e quello di un neutrino, come è stato detto.

Solo una grottesca riduzione della realtà può negare importanza a due sistemi cognitivi miracolosi come il latino e il greco. Il latino e il greco sono, dunque, in grado di continuare ad assicurare ancora oggi quella forma mentis di cui parlavano gli antichi, che è poi la open mindness dei nostri giorni, locuzioni diverse per esprimere sempre lo stesso concetto valido da secoli, vale a dire uno stato mentale analitico ed elastico al tempo stesso.

Sono stati proprio gli scienziati ad affermare che di fronte ad un testo da tradurre da una lingua complessa, quale erano entrambe le lingue morte, si assume lo stesso atteggiamento del ricercatore, dell’uomo di scienza. Quando si cerca di dare un senso compiuto ad un gruppo di frasi, quando sembra di aver trovato la chiave, ma c’è un piccolo dettaglio che non coincide con il resto, perchè dissonante, e non lo si riesce a sistemare, allora bisogna ricominciare daccapo. Bisogna ripensare, capovolgere tutto ed essere disposti ad abbandonare quella strada che pure sembrava ipotesi ragionevole fino ad un attimo prima, proprio come fanno fisici, matematici, biologi.

Si tratta di rigore e di logica, sempre gli stessi, applicati ad ambiti diversi, ma con un unico approccio. Omero e Virgilio ci hanno insegnato a pensare, ad agire in maniera critica, a porci quesiti, a esercitare il dubbio, a non muoverci in maniera meccanica e ripetitiva. E sono stati, inoltre, e lo saranno per sempre quelli che oggi si definirebbero maestri di storytelling, raccontandoci gli eroi dell’antichità trascinati da un pathos che li spingeva a perseguire i loro sogni a qualunque costo. Per aspera ad astra. Questo doversi districare tra difficoltà, spesso tra concetti più grandi dell’età fa si che chi esce dal liceo classico sviluppi una maggiore abilità nelle cose della vita, conosca meglio, perché lo ha già sperimentato sui libri, il perimetro delle difficoltà e delle frustrazioni, delle delusioni, della gioia e della soddisfazione. E, quindi, sappia muoversi con una strumentazione migliore tra il dolore e la felicità di stare al mondo.

Una volta, quando redigevo pareri legali, ero solita siglarli con la formula “Nelle suesposte considerazioni è il mio parere”

Stavolta non di parere giuridico si tratta, ma la chiosa è ugualmente doverosa, vale a dire che questo è solo il mio pensiero a riguardo, ma mi conforta sapere che in tanti, illustri uomini di lettere e di scienza la pensino come me. Uno tra tutti il mai abbastanza compianto Umberto Eco.

Donatella Schisa

Pubblicato da Donatella Schisa

Donatella è nata e vive a Napoli. Dopo gli studi classici, si laurea in Giurisprudenza coltivando parallelamente la sua passione per la scrittura. E' autrice di numerosi racconti pubblicati in diverse antologie; e si è classificata seconda alla XXV edizione del Premio Nazionale Megarls per la narrativa. il suo primo romanzo è " Il posto giusto"

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