Intervista a Luca Steffenoni

Parliamo di un libro che non racconta solo una vicenda umana, ma narra di un sistema, in particolare di alcune sfaccettature di una giustizia talvolta “malata”, che in questo caso ha scelto con cura certosina il suo agnello sacrificale. Noi abbiamo intervistato Luca Steffenoni che ce ne ha parlato.

Il caso Tortora La recensione

Luca Steffenoni

Buongiorno, benvenuto nel nostro blog e grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande.
Da cosa nasce l’interesse e la volontà di scrivere un libro su un caso risalente ormai a trent’anni fa?

Mi occupo spesso di cold case, di casi sui quali si è depositata la patina del tempo. Può sembrare una scelta poco commerciale, ma ogni volta che per lavoro mi ritrovo tra le mani qualche vecchio Instant-book, i libri nati nell’immediatezza di una vicenda giudiziaria, ho la conferma che la mia sia la strada giusta. Quasi mai gli autori che si gettano su un caso di cronaca contemporanea riescono a vedere “l’insieme” della vicenda, ad andare oltre alla denuncia e alla presa di posizione impulsiva. Tutti coloro che hanno scritto di Tortora negli anni ’80 sono rimasti imbrigliati nel tema dell’errore giudiziario, hanno redatto pamphlet sullo stato della giustizia. Il caso Tortora però è stato molto altro. E’ stata la persecuzione di un innocente per ragioni politiche, un esempio di cinismo di Stato, un’operazione mediatica senza precedenti. Tanti particolari che si riescono a vedere solo dopo anni.

Una storia dagli alti contenuti emotivi come quella del presentatore di Portobello non cessa di trasmettere umanità e intensità, che in fondo, è ciò che interessa allo scrittore. Casi come questo fanno parte del nostro vissuto e vanno raccontati, vanno difesi dall’oblio. Nella letteratura anglosassone il genere docu-fiction è molto apprezzato e spesso si traduce in film densi di contenuto, noi italiani preferiamo affidarci a trame fittizie forse perché la realtà ci spaventa. Credo sia giunto il momento per invertire questa tendenza.

Secondo te, perché tra tanti fu “scelto” proprio il noto conduttore Tortora?

La tua domanda coglie l’essenza del libro. Tutta questa assurda storia ruota attorno al quesito: perché Tortora diventa agnello sacrificale della ragione di Stato?

Il nome di Tortora inizia a girare nelle carceri nel 1977 a causa di un detenuto di Portoazzurro, oggi diremmo uno stalker di celebrità, che manifesta una psicosi delirante nei confronti del presentatore di Portobello. Sei anni prima del drammatico arresto, la suggestione di Tortora in qualche modo connesso al mondo camorrista e a quello carcerario viaggia dunque all’insaputa dell’interessato in ambienti lontanissimi dal suo vissuto quotidiano.

Questa follia viene registrata e mentalmente archiviata dagli altri detenuti, dagli avvocati che frequentano i parlatoi, dai direttori delle carceri, dagli agenti penitenziari, dai magistrati di sorveglianza e naturalmente da uomini dei servizi segreti. Un tam-tam, una fake news sempre per restare all’attualità, che qualcuno saprà utilizzare per i propri disonorevoli scopi. Parallelamente Enzo Tortora vive anni di gloria professionale, ma viene anche isolato come giornalista per le sue scomode posizioni politiche, per la sua indipendenza, per il suo modo di fare televisione, per essere uomo colto che si eleva nel mediocre e servile panorama della carta stampata e della tv di Stato.

Il cortocircuito tra i due scenari, quello che si sta vivendo nelle carceri e quello quotidianamente affrontato negli studi Rai, si realizza nel 1983 e per comprenderlo dobbiamo spostarci a Napoli. In seguito al diluvio di soldi piovuti sulla Campania per la ricostruzione post-terremoto e alla scoperta e denuncia della prima gravissima trattativa Stato-camorra, quella per liberare l’assessore democristiano Ciro Cirillo, rapito dalle Br, la Procura di Napoli è costretta a smarcarsi dall’abbraccio di Cutolo, boss indiscusso della Nuova Camorra Organizzata, protetto per anni da quel potere giudiziario e politico che avrebbe dovuto trovarsi dall’altra parte della barricata. La pubblica opinione chiede rigore verso i responsabili della trattativa. Otterrà solo un processo fittizio, un maxi processo tanto teatrale quanto privo di contenuti. Ecco, allora che emerge il nome di Tortora, utile per depistare, per distrarre dal groviglio di malaffare che ha visto camorra, politica e magistratura banchettare assieme per tanti anni.

I mass media abboccano subito al tranello teso dalla Procura. Da quel momento il processo all’Nco diventa ufficialmente il caso Tortora. Tutti parleranno solo del presentatore e lo scandalo di un’inchiesta nella quale non entrerà nessun politico, amministratore pubblico o camorrista di ruolo, passerà in secondo piano.

La magistratura, ancora oggi, è tutelata da un potere enorme: ritieni che questa condizione potrà mai cambiare tanto da concretizzare il famoso motto “La legge è uguale per tutti”?

La giustizia non è mai stata “uguale per tutti”, meno che meno in Italia, paese di lobby, di poteri mafiosi, di consorterie più o meno occulte.

Il problema giustizia, se è possibile, è ulteriormente peggiorato, si è incancrenito, dai tempi di Tortora. Quello della magistratura è un potere indifferente al cambio degli equilibri politici, autoreferenziale, arroccato nella propria difesa corporativa. L’agenda delle riforme è dettata direttamente dai togati che con un sistema di veti incrociati e di alleanze possono farla fallire ogni qualvolta minacci il loro potere. Temi come la separazione delle carriere, la responsabilità dei giudici, (quella vera e non la buffonata varata dal Parlamento nella scorsa legislatura), l’utilizzo della carcerazione preventiva, l’uso del braccialetto elettronico, la certezza della pena, l’onere della prova, la drammatica situazione delle carceri, oggi sono del tutto improponibili. Chi tocca i fili muore. A prescindere dal colore politico. A questo scenario si aggiunge la naturale propensione degli italiani al giustizialismo e il vittimismo del potere giudiziario che non appena si sente minacciato scavalca la politica per rivolgersi direttamente all’emotività degli elettori. Sbandierano subito l’eroismo di Falcone e Borsellino dimenticando che i peggiori nemici dei due magistrati uccisi dalla mafia si trovavano proprio tra i colleghi togati.

In Italia e nel mondo, ci sono certamente persone che hanno subito e  stanno scontando condanne ingiuste: qual è il tuo messaggio per loro?

Mi piacerebbe dire “stiamo lavorando per voi, tenete duro”, dare un messaggio positivo, di speranza. Sarei però falso. Preferisco rivolgermi ai politici, gli unici che hanno ancora un briciolo di potere, perché abbiano il coraggio di intervenire, affinché di casi Tortora ce ne siano sempre meno.

Il tuo è un libro che ha avuto e avrà riscontri positivi e non: qual è stato quello che hai apprezzato maggiormente?

Oggi gli italiani leggono sempre meno, ma chi coltiva ancora questo “vizio” lo fa con grande passione, con il mio lavoro vengo a contatto con tanta gente straordinaria che mette l’anima nel creare occasioni d’incontro tra lettori e scrittori, momenti di dialogo e di scambio reciproco. Ci sono tante associazione di volontari, amministratori locali, bibliotecari, semplici appassionati. Incontrarsi è la parte più bella del mestiere di scrivere. Sinceramente non capisco i colleghi che pongono barriere col pubblico, che si circondano di un’aurea da artisti snob, che vivono le presentazioni come un fastidio. Io vorrei incontrare uno per uno i miei lettori, sentire il loro plauso e le loro critiche.

Grazie ai social e ai blog letterari questo è sempre possibile, ma il contatto umano resta il mio preferito, anche se a volte sono stremato dal girovagare per tutta Italia. Per tornare alla tua gentile domanda, di recente un’anziana signora napoletana mi ha fatto scrivere dal figlio via mail. Mi dice di essere quasi cieca e di faticare molto a leggere poi aggiunge: “un’eccezione la faccio solo per i suoi libri, quello di Tortora mi ha riportato indietro nel tempo, mi ha ricordato Enzo, ma ha anche chiarito in un attimo cos’è successo. E’ come se di colpo la nebbia del tempo si fosse diradata, finalmente tutto è stato chiaro”. Ecco, le soddisfazioni per me sono queste.

Dove si può acquistare il tuo libro?

Come si diceva una volta…nelle migliori librerie. Se proprio l’avessero esaurito basterà ordinarlo. Ovviamente i libri di Chiarelettere sono disponibili anche in tutti i principali store di vendita on line. Volendo anche in formato e-book. Insomma, non ci sono scuse per non leggerlo.

Se Enzo Tortora fosse ancora in vita oggi avrebbe novant’anni: cosa immagini avrebbe potuto dire a te rispetto al libro e cosa alla magistratura?

L’immagine di Tortora vivo mi ha accompagnato durante la stesura del libro. A furia di leggere ciò che ci ha lasciato, di vedere filmati e ascoltare testimonianze è diventato una sorta di compagnia “virtuale”. Ho iniziato a provare molta stima e empatia per un personaggio che quando ero più giovane sentivo piuttosto distante. Ecco perché ho voluto immaginarlo nel prologo del libro, sopravvissuto all’oltraggio subito. «…difficile pensare che il suo carattere battagliero accetterebbe il riposo in riva a un lago o la pensione sulle panchine dei giardinetti pubblici. Più facile figurarselo a pigiare tasti su di una tastiera, scrivendo di se stesso e del mondo, riflettendo e polemizzando come faceva un tempo.

Suppongo che patirebbe il politicamente corretto dei nostri giorni mediocri e spenti, ma che, invecchiando, avrebbe recuperato il gusto per la battuta salace e pungente della giovinezza, ottimo antidoto  contro il conformismo e l’ipocrisia dilagante.

Di detrattori ne avrebbe ancora molti, forse più giovani e ignoranti di quelli di allora.

Qualcuno di loro, dalle colonne di una rivista o da un talk show pomeridiano, gli darebbe, nemmeno tanto velatamente, del vecchio trombone, accusandolo di fare uso strumentale della sua antica vicenda giudiziaria. Critiche delle quali, credo proprio, se ne infischierebbe. Con l’età non avrebbe smesso di occuparsi di politica e di giustizia lanciando grida del tutto inascoltate sulla drammatica situazione dei tribunali e delle carceri.»

Ecco lo immagino così, e chissà se il mio libro gli sarebbe piaciuto.

Hai già altri progetti per il futuro?

Sto consegnando la mia prossima uscita, un libro molto particolare che unirà il tema del cibo a quello del giallo e del delitto. Tante storie vere, tante riflessioni, racconti anche molto divertenti.

Brevemente, perché i lettori dovrebbero leggere “Il caso Tortora”?

Ahia, sono un pessimo venditore, ma ci provo.

Perché ha i ritmi del legal thriller, una sorta di docufiction in presa diretta, una narrazione romanzata nella forma, ma assolutamente fedele ai fatti. Credo che alla fine del libro il lettore conosca qualche cosa in più, ma soprattutto abbia vissuto un’esperienza letteraria in ambienti e situazioni che gli auguro di non conoscere mai direttamente. Un amico mi ha detto ieri di averlo finito e di aver provato un grande coinvolgimento emotivo. Intenso, coinvolgente, non ti da un attimo di tregua…così ha detto. Ok, è un amico, tuttavia…

Grazie per essere stato con noi!

Pubblicato da Fabiana Manna

Salve! Sono Fabiana Manna e adoro i libri, l’arte, la musica e i viaggi. Amo la lettura in ogni sua forma, anche se prediligo i thriller, i gialli e i romanzi a sfondo psicologico. Sono assolutamente entusiasta dell’idea della condivisione delle emozioni, delle impressioni e delle percezioni che scaturiscono dalla lettura e dalla cultura. Spero di essere una buona compagna di viaggio!

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