8 Marzo 2020-Festa internazionale della donna – Storia di una donna violata.

I diritti delle donne sono una responsabilità di tutto il genere umano; lottare contro ogni forma di violenza nei confronti delle donne è un obbligo dell’umanità; il rafforzamento del potere di azione delle donne significa il progresso di tutta l’umanità.
(Kofi Hannam)

Oggi 8 Marzo si celebra la Festa internazionale della Donna 2020. Una festa, una celebrazione avrà senso quando tutte le donne saranno al sicuro nelle loro case, accanto ad un uomo che hanno amato e scelto, quando tutte le donne non saranno uccise solo per affermare la propria identità, quando sarà finalmente eliminato e punito il machismo. La violenza di genere è violenza alla società, ai nostri figli, al nostro essere un popolo civile. Fino al giorno in cui non dovremo contare i numeri delle vittime, i numeri delle donne che sono riuscite a sfuggire alla morte per merito di un loro gesto deciso , non ci sarà nulla da festeggiare. Non regalateci mimose, cioccolatini o altro, imparate a rispettarci, imparate a considerarci persone, imparate a riconoscere il nostro valore : nella famiglia , nel lavoro , la parità di salario , la parità decisionale delle proprie scelte di vita, la libertà di non frustrare la nostra intelligenza per non far sentire inferiore e frustrato l’uomo che ti vive accanto. Solo quel giorno potremmo festeggiare…

Ho giurato di non stare mai in silenzio, in qualunque luogo e in qualunque situazione in cui degli esseri umani siano costretti a subire sofferenze e umiliazioni. Dobbiamo sempre schierarci.
La neutralità favorisce l’oppressore, mai la vittima.
Il silenzio aiuta il carnefice, mai il torturato.”
(Èlie Wiesel)

Oggi noi del mondo incantato dei libri abbiamo scelto la consapevolezza e la conoscenza, abbiamo deciso di raccontarvi la storia di Barbara , una donna che ha saputo ribellarsi, ha saputo salvare la propria vita e dei propri figli , con un gesto forte ed importante : la denuncia. Barbara non vuole tacere , vuole urlarla la sua storia di dolore, lei che parla sottovoce ma grida al mondo : non abbiate paura , metto a disposizione la mia storia affinché altre donne trovino il coraggio di salvarsi . Grazie Barbara per averci scelto , grazie per la tua grandissima forza, grazie del tuo voler regalare la tua storia, grazie per il tuo gesto di mettere a nudo te stessa nonostante tutte le ferite che porti sul tuo corpo che non ti permettono di dimenticare…

Io ti ringrazio a nome di tutte le donne che vivono situazioni difficili.


Era il mese di luglio del 2003 quando quando conobbi il mio ex compagno,il padre di mia figlia.
Venivo da un precedente matrimonio dal quale ebbi mio figlio che all’epoca aveva tre anni.
Quando conobbi il mio ex mi accorsi subito di quanto fosse timido. Ad oggi, nonostante tutto ricordo con molta tenerezza quei momenti. Era un ragazzo che non parlava mai e nonostante ci avessero presentati non riusciva nemmeno a salutare.
Lavorava in un supermercato e di fronte c’era un bar ,quanti giorni ho passato sotto quel bar con mio figlio a mangiare gelati e prendere caffè,e solo per vederlo.
Finalmente prese coraggio e ci demmo il primo appuntamento.
Abitavo in zona di mare e andammo proprio sul lungomare in un piccolo bar economico e caratteristico. A tutti e due piaceva il mare.
Da lì ci furono altri incontri, fino a fine agosto. Avendo il bimbo spesso lo dovevo portare con me e allora si usciva in più persone perché si sa , anche da piccoli i bambini capiscono e io non volevo che si accorgesse che non era solo un amico.
Camminavamo distanti proprio per questo.
Un pomeriggio però successe qualcosa che mi sconvolse ; mio figlio mi lasciò la mano per strada mentre eravamo assieme con il solito gruppo di amici e corse dal mio compagno, gli si attaccò alla gamba e gli disse con un sorriso bellissimo “vuoi essere il mio papà? ” .
Io ricordo che restai pietrificata, nel vedere che lui si abbassò e lo abbracciò guardandomi e chiedendomi il consenso.
In quel momento risposi io a mio figlio dicendo che non si dicevano quelle cose e lui ci rimase male.
Con il passare del tempo e il nostro volerci bene , diventò inevitabile nascondere e ancora dopo un po’di tempo si decise di convivere .
Era una casetta molto piccola ma c’era tanto amore, veramente tanto.
Quando lui non lavorava passava tutto il tempo con mio figlio, andavano in spiaggia, a fare passeggiate o semplicemente a giocare fuori al balcone.
Era lui che portava il bambino al pulmino della scuola la mattina ed era lui che mio figlio voleva trovare al ritorno. Erano sempre assieme. Ormai mio figlio lo chiamava papà e lui con tanta gioia diceva a tutti che era suo figlio.
Andava tutto bene tra noi.
Gli chiedevo spesso della famiglia ma non ne voleva mai parlare, sapevo solo che suo padre era un militare in pensione e la madre prima della pensione lavorava in banca,aveva una sorella. Ma non ne voleva mai parlare Anzi si rattristava molto e quindi per un bel pezzo non chiesi più rispettando i suoi sentimenti.

Nel frattempo lui cambiò lavoro e era in una ditta edile e nello stesso tempo io ebbi una proposta di lavoro a Marigliano come responsabile di un franchising , l’offerta economica era buona e decidemmo di trasferirci.
Spesso però era nervoso,io pensavo per problemi economici dato che non veniva pagato sempre regolarmente. All’inizio non ci facevo caso quando usciva a prendere il pane e portava la birra per mettere a tavola. Chiunque a tavola ha una bottiglia di vino o di birra.
E prendeva la Coca Cola per mio figlio.
Ma cominciai a sentire l’odore della birra sempre più spesso e lui era sempre più nervoso.
Diventò geloso di amici che spesso stavano a casa ,del mio datore di lavoro che vedevo solo una volta al mese quando doveva staccare l’assegno per lo stipendio.
A volte faceva scenate assurde ,ma pensavo che fosse un po’di stress dovuto al lavoro che non gli dava soddisfazione.
Una volta però prese il coltello e si tagliò le vene.
Era notte e quando entrai in cucina trovai una pozza di sangue e una puzza di alcool indescrivibile.
Subito lo portai all’ospedale.
Dopo quella volta cambiò di nuovo e ritornò la persona che avevo conosciuto.
E dopo qualche mese aspettavamo la nostra bambina.
È stato dal primo momento un padre amorevole con tutti e due ,senza mai fare differenza, mai.
Ma accadde che ci dovemmo trasferire dai miei e io dovetti lasciare il lavoro perché a causa di un medicinale errato ,cominciai a deperire drasticamente e siccome non si riuscivano a capire le cause , mi fu chiesto di fare i markers tumorali. La mia famiglia era troppo in ansia dato che non riuscivo nemmeno a tenere la piccola in braccio. Lui doveva necessariamente lavorare e il suo pensiero era rivolto sempre a noi a casa. Per questo motivo prendemmo la decisione di andare dai miei. Per fortuna dopo accurate analisi si scoprì che il mio deperimento era dovuto ad un farmaco antiepilettico che mi fu dato dopo il parto, perché io sono epilettica ma in gravidanza dovetti sospendere un farmaco pericoloso per la bimba, solo che la mia dottoressa era in America e dovetti rivolgermi ad un altro specialista per il reinserimento del farmaco che invece mi fu sostituito con un medicinale di cui presi tutti gli effetti collaterali,tra cui il drastico deperimento.
Casa dei miei era grande, una villa e papà per farci avere la nostra privacy decise di fare i lavori e di farne uscire due appartamenti un po’più piccoli.
E fu proprio in quel periodo che cominciai a rendermi conto che c’era qualcosa che non andava in lui, ma l’associavo al fatto che non avesse più contatti con la famiglia che si trovava in Polonia.
Di nascosto, per fargli una sorpresa ,feci i biglietti e preparai la documentazione necessaria per partire .
Quando glielo dissi pianse e io pensavo di aver fatto la cosa giusta e che questo viaggio gli sarebbe stato di vero aiuto.
Solo quando fummo li io seppi la verità.
Un padre alcolizzato e violento, una madre assente ,una sorella che per sfuggire alle botte dovette scappare da piccola , ancora in minore età.
Certamente queste cose in mia presenza non accaddero mai ,ero ospite e alle apparenze ci tenevano.
Ma lui mi disse tutto e andammo a trovare la sorella in un altro paese dove restammo qualche giorno dato che si doveva sposare.
Almeno, pensai, di aver riappacificato due fratelli.
Quando tornammo in Italia, mio figlio partì con i nonni per le vacanze e da lì cominciò la mia odissea ,o meglio il mio inferno.
Dopo un litigio per aver scoperto un tradimento da parte sua , gli dissi che mi sentivo troppo ferita e che non me la sentivo di vederlo per casa e di fingere che niente fosse accaduto.
Da quel momento cominciò a bere sempre ,di continuo.
Anche a lavoro e una volta quando dissi “basta se non te ne vai da casa mia vado via io” , presi la valigia e la bimba e ne ne andai alla fermata del pullman per andare da mia nonna a Napoli.
Lui mi seguì e davanti a tanta gente, senza pensare che avessi in braccio la bimba, di due anni, mi diede un pugno sul naso urlandomi di tornare a casa.
Nessuno disse una parola, tutti a guardare in silenzio.
Da quel momento capitò molto spesso, tante altre volte.
Poi smise ,ma mai di bere e io non ne potevo più. Credetemi non ne potevo più.
Dovevo andare a lavoro e tornare con la paura che mi succedesse qualcosa.
Ad un certo punto nemmeno più a lavoro riuscii ad andare.
Ogni volta che lo mandavo via di casa mi chiamava dicendomi che si sarebbe ammazzato e qualche volta ci ha provato. E chiamava mio figlio per dirgli lo stesso.
I sensi di colpa mi divoravano, ma ancora di più quando mio figlio si metteva in ginocchio per farlo tornare a casa e piangeva.
E tornava sempre a casa ma nulla cambiava. Fino a quando cominciò a picchiarmi mentre mi diceva “non sei niente, non vali niente, muori stronza ” .
Mi prendeva sempre a pugni in testa e spesso mi ha provocato delle pesanti crisi epilettiche, lui lo sapeva che mi sarebbe successo.
Ma io ero “brava ” a nascondere a tutti, anche alla famiglia, lividi in faccia non ne ho mai avuti, solo dallo sterno in giù.
Ma non ne potevo più, anche perché spesso capitava con i miei figli presenti.
Non riuscendo più a sostenere questa situazione, ricordo che parlai con un mio amico di tutto quello che stava succedendo. Lui si attivò subito avvisando tutti i miei amici e amiche più care per cercare di convincermi a fare la denuncia. Mi chiamavano sempre, di continuo e ricordo che una volta, siccome non abitavano dalle mie parti, gli parlarono a telefono cercando di farlo spaventare e si allontanò.
Da quel momento per un po’ebbi un pò di tranquillità,prese una casa per conto suo.
Io mi rivolsi ad un centro antiviolenza, finalmente presi coraggio,ma se fossi stata sola non so se lo avrei fatto.
Al centro volevano vedermi,ma cercavo sempre di rimandare.
Fino a quando accadde che per portare la bambina a vedere il padre , mi dovetti recare a casa sua per vedere se era in condizioni sobrie e non lo era, da lì un litigio, botte, un ennesimo pugno al naso e uno schiaffo all’orecchio che ancora oggi mi fa male.
Caddi a terra e mi ritrovai sul divano,o il letto non ricordo, avevo una maglia diversa ed ero intontita. Non capivo nulla , vidi entrare mio figlio di 13 anni in casa che mi osservò sdraiata e per lui sembrò tutto strano, anche la maglia diversa. Andò in bagno e dietro la porta c’era la mia maglia intrisa di sangue . Lui era lì come se niente fosse e disse a mio figlio “che cazzo vuoi anche tu?” non ricordo di aver visto tanta rabbia negli occhi del mio bambino che improvvisamente prese un’asta ,credo la scopa, non ricordo , e gliela diede in testa così forte che io stessa ebbi paura che potesse ammazzarlo. Continuavo a non avere forze, ma dovevo far qualcosa e nonostante mio figlio urlasse “lascia stare mia mamma ” io riuscì a gridare di fermarsi. In quel momento capii che dovevo provvedere con la denuncia altrimenti avrei rischiato oltre che la mia vita , di crescere un figlio violento, così come era cresciuto lui vivendo lo stesso contesto.
Non fui mai sola nella denuncia,i miei amici erano con me sempre, facevano a turno a chi di loro doveva accompagnarmi al centro antiviolenza, dai carabinieri e all’ospedale dato che risultò che quello schiaffo mi aveva lesionato gravemente il timpano.
Nel frattempo,anche se i miei amici mi erano vicini, caddi in una brutta depressione.
Non mangiavo più,non mi alzavo più dal letto.
Avevo fatto la denuncia ma era sempre là. Lo sentivo sul collo ogni volta che chiudevo gli occhi.
Venne una nuova estate e rimasi solo io a casa con la bimba , perché è vero che avevo denunciato ma è anche vero che non riuscivo a dire tutto alla mia famiglia.
Li avevo rassicurati e dissi che era giusto che facessero la vacanza e che magari mio figlio si sarebbe scrollato di dosso tante preoccupazioni e malsani pensieri.
Ma quel maledetto giorno me lo ritrovai dietro la porta ,come sempre ubriaco.
Entrò in casa e si mise a terra in quella posizione in cui si mettono i pazzi dondolandosi avanti e indietro. Si mise le mani in testa e continuava a dire “tu non mi puoi lasciare” , lo diceva di continuo, senza prendere fiato.
Cercai di farlo smettere con le buone, dicendo che spaventava la bimba ma lui niente.
Non ricordo come ma riuscii a farlo uscire e mi chiusi dentro.
Mia figlia non capiva e io continuavo a dirle che era malato ma che prima o poi sarebbe passato. Io mi sentii poco bene e dovetti correre al bagno, non feci a tempo a togliere le chiavi dalla porta e chiesi a mia figlia di non aprire anche se lo sentiva piangere.
Ma la mia bimba non capiva e mentre ero in bagno lo fece entrare e me lo ritrovai in cucina di nuovo.
Nel frattempo avevo avvisato via skipe un mio amico della postale che collaborava con il centro antiviolenza, gli chiesi di aiutarmi e chiamò i carabinieri. Nel frattempo il padre di mia figlia prese tutto ciò che trovava e me lo lanciava addosso, tra queste cose anche dei coltelli affilati,quelli che si usano in cucina per disossare la carne.
Poi prese un coltello e se lo mise alla gola .
Solo Dio sa come riuscii a farglielo posare.
Quando sentì le sirene scappò .
Mia figlia si aggrappò ad un maresciallo e gli chiese di non andare via o di portarci con loro e fu così.
La denuncia durò 5 ore e da lì ci vennero a prendere i servizi sociali per portarci in casa protetta.
Fu tutto molto difficile, mia figlia non riusciva a essere serena la dentro. E per fortuna una mia amica che non abitava vicino a me diede la disponibilità per farci stare da lei, in un contesto più sereno per mia figlia.
Mia figlia, già,mia figlia che per me rappresenta la salvezza.
Era inevitabile che in tutto questo non cadessi in depressione , difatti prima della denuncia ero sempre a letto, non mangiavo più, mi occupavo del minimo indispensabile e delle cose primarie per i miei figli,come il pranzo,la cena e forse niente più. Mi ero annullata,o meglio mi aveva annullata.
Un giorno mia figlia venne in camera, voleva dirmi la poesia della mamma, non volli ascoltare e mi girai dall’altro lato, nel buio di una stanza.
Dopo un pò tornò con il suo piccolo trolley della scuola, quello rosa di Hello Kitty, dentro c’era un pigiama e una mutandina e da fuori usciva un orsacchiotto.
Io la guardavo e non capivo.
Era triste,e mi fece una richiesta ” se non ce la fai a fare la mia mamma ti dispiace se me ne trovo un’altra? ” .La abbracciai così forte e piansi tanto.
Da quel momento ebbi la forza di affrontare tutto quello che ho affrontato. Quel giorno passai ore sotto la doccia, sentivo l’acqua scorrermi addosso come se fosse vita.
Ho affrontato le denunce, ho affrontato i processi, il tribunale dei minori.
Sia io che i ragazzi abbiamo fatto dei percorsi psicologici e piano piano si è stabilita la normalità.
Al tribunale dei minori, pretesi che fosse tolta la potestà genitoriale al padre fino a quando non avesse intrapreso e finito un percorso di disintossicazione dall’alcool.
Nonostante tutto ho sempre tenuto presente che quello non era l’uomo che avevo conosciuto ma il risultato di una famiglia violenta e assente .
Era comunque il padre dei miei figli , e non volevo che loro dovessero vergognarsi di lui.
Il percorso fu fatto, i processi anche e c’è ancora da terminare ma è consapevole di ciò che ha fatto, vive lontano, fuori Italia , lavora ha una vita degna come è giusto che abbia un essere umano.
Chiama ogni giorno i ragazzi, beh a volte capita che si litiga tra noi per cose inerenti agli alimenti ma poi finisce lì .
Non è fisicamente presente ma a modo suo e da persona lucida cerca di fare il padre.
Ogni tanto faccio riprendere il percorso psicologico a mia figlia,non fa mai male.
Mio figlio in anni addietro aveva assunto degli atteggiamenti in apparenza violenti e anche in quel caso mi rivolsi alle persone competenti che sono state una parte fondamentale per me e i ragazzi e lo sono ancora.
La mia storia non è diversa forse da tante altre, ma l’ho voluta raccontare perché bisogna che le donne denuncino per loro e per i loro figli allontanandoli da contesti che possano inevitabilmente influire sul loro percorso di crescita.
Noi siamo donne, ma siamo mamme e una mamma non si può permettere il lusso di morire.
Sarebbe successo qualcosa di ancora più grave se non avessi avuto la forza di denunciare e devo dire che chi non riusciva ad accettarlo era proprio mio figlio, ma l’ho fatto piangere, non l’ho ascoltato,non potevo.
Certo è sempre un lavoro psicologico continuo su di loro, perché quando assisti a certe cose difficilmente le dimentichi e anche se le rimuovi prima o poi tornano a galla .
Il senso di responsabilità di una madre in questi casi si dimostra dalla forza che riesce a trovare dentro di sé per proteggere i propri figli e la propria vita. Ed era giusto salvare il salvabile, era giusto cercare di aiutare anche il mio ex compagno ad uscire fuori dal tunnel della dipendenza.
Lo dovevo fare, era giusto farlo e considerato l’oggi sono fermamente convinta di aver agito nel migliore dei modi.
Certamente mi è capitato di sentirmi dire in tribunale un qualcosa di inammissibile “signora mi spiega cosa faceva per farlo arrabbiare? Non è una persona si alza la mattina e si mette a prendere a pugni la compagna. Non è che lei aveva l’amante? Vestiva scomposta ? ”
Mi venne da piangere ma non lo feci, chiesi all’avvocato d’ufficio del mio ex compagno se per caso avesse una moglie o una compagna e gli dissi che non avrei risposto a quelle domande semplicemente perché in nessun caso sarebbe stato giustificato e questo non lo dicevo io ma la legge . Il giudice mi apprezzò e ricordo che sorrise con tenerezza.
La sentenza c’è stata , si attende l’appello.
Eppure mi chiedo una cosa , è proprio giusto che debba pagare lui o sarebbe più giusto che pagasse una famiglia che gli ha saputo insegnare solo questo?

Leggere questa storia mette i brividi, ti fa sentire responsabile per tutte le volta che hai considerato queste storie, questo dolore lontano da te. Guardare negli occhi Barbara, vedere la sua pacatezza, il suo parlare piano quasi sottovoce , ti racconta un inferno ed anche la sua generosità, il suo chiedere non detenzione ma cure per chi le ha distrutto la vita. Barbara una grande donna ci mette davanti a delle responsabilità : è affar nostro è qualcosa che ci riguarda da vicino , le donne assassinate non sono nomi al telegiornale, potremmo essere noi , la nostra amica, la nostra vicina di casa, nostra figlia. Bisogna lottare , parlare , parlare fino allo sfinimento per far capire che solo la denuncia e l’allontanamento fisico può, forse, salvare una vita .

Grazie Barbara per la tua storia.

Elisa Santucci

Pubblicato da Elisa Santucci

Sono Elisa Santucci, fondatrice ed amministratrice dall'8 luglio 2016 . Il blog nasce dalla mia passione per i libri da sempre, dalla voglia di parlarne e fare rete culturale, perché io penso che il web, i blog, i social si possono usare in tanti modi, io ho scelto di creare un'oasi culturale. io sono pienamente convinta che leggere ci insegna a pensare e a essere liberi. "Leggere regala un pensiero libero come un volo di farfalle, un’anima con i colori dell’arcobaleno , forza e creatività" è il mio motto. Editor freelance, correttore di bozze, grafica. Servizi editoriali .

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